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Appello per il riconoscimento accademico delle competenze e delle attività di ricerca umanistico-digitali

L’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale (AIUCD) è nata nel 2011 con l’obiettivo di diventare il luogo in cui ricercatori e studiosi provenienti da settori, tradizioni e metodologie umanistiche diverse, ma accomunati dall’interesse per i metodi e gli strumenti di ricerca digitali, potessero ri-conoscersi, cooperare e rappresentarsi.

È ormai evidente come le attività di ricerca basate su tali metodi e strumenti digitali abbiano assunto una grande rilevanza in quasi tutti i settori delle scienze umane. Ne è testimonianza la presenza pervasiva di attività che rientrano nel dominio delle Digital Humanities (DH) sia nei progetti di ricerca nazionali sia, anzi soprattutto, in quelli del programma europeo Horizon 2020. O il notevole incremento del numero di centri di ricerca, corsi e insegnamenti, posizioni accademiche di Digital Humanities verificatosi negli Stati Uniti, in Canada, in molti paesi europei (primi tra tutti il Regno Unito, la Germania e la Francia), ma anche in paesi emergenti come l’India, il Brasile, il Messico. O ancora la costituzione a livello Europeo di importanti consorzi per le infrastrutture di ricerca come DARIAH (Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities) e CLARIN (Common Language Resources and Technology Infrastructure), alle quali per fortuna l’Italia ha aderito, grazie alla lungimirante azione di alcuni soggetti istituzionali (in particolare il CNR).

Nel nostro paese, invece, le Digital Humanities hanno avuto finora scarso riconoscimento istituzionale e ancor minore riconoscimento accademico. E questo nonostante la ricerca italiana di settore abbia una storia assai lunga e sia conosciuta e apprezzata a livello internazionale: lo testimoniano sia il riscontro che ha all’estero la nostra produzione scientifica, sia la presenza italiana negli organismi direttivi delle principali associazioni internazionali del settore come la European Association for Digital Humanities (EADH) e la Alliance of Digital Humanities Organizations (ADHO). A titolo di esempio proprio in questi giorni cinque progetti digitali italiani hanno ottenuto le prime posizioni in un due categorie dei DH Awards, votati da centinaia di colleghi in tutto il mondo (cfr. http://dhawards.org/dhawards2015/results/).

La intrinseca natura trasversale e interdisciplinare di questo ambito di ricerca, infatti, ha reso molto difficile ottenere una adeguata valutazione e valorizzazione istituzionale sia della ricerca prodotta, sia delle figure accademiche di chi vi si dedica. In molti casi chi si occupa di DH fatica a trovare – in assenza di uno specifico settore scientifico disciplinare – una collocazione all’interno dei settori esistenti, e a far percepire in sede di valutazione la specificità e il valore del lavoro svolto. Il risultato è che uno fra i domini disciplinari attualmente più vitali e fecondi nell’ambito della ricerca umanistica, ormai presente e riconosciuto nelle università e nei centri di ricerca di tutto il mondo, rischia di trovarsi in Italia fortemente marginalizzato, con una pesante penalizzazione accademica per gli studiosi, in gran parte giovani, che a questo settore dedicano intelligenza, energia e risorse. E con esiti paradossali, come ad esempio il fatto di vedere assegnata la didattica dell’informatica nei corsi di Laurea di area umanistica a docenti di formazione tecnica che non hanno adeguata conoscenza dei problemi e della specificità dei saperi umanistici (con risultati molto spesso assai deludenti per gli studenti). O di marginalizzare proprio quei ricercatori, spesso i più giovani, che hanno preso sul serio le parole d’ordine dell’interdisciplinarità e della cooperazione, che si impegnano nella sfida di rinnovare la delle scienze umane e di creare nuovi saperi ibridi, come da più parti viene autorevolmente suggerito.

Per risolvere questi paradossi come AIUCD non crediamo sia all’ordine del giorno la istituzione di un autonomo settore disciplinare, in una fase in cui semmai al sistema universitario viene richiesto di ridurre la ridondanza e la eccessiva parcellizzazione. Piuttosto proponiamo che le competenze e le metodologie digitali in ambito umanistico trovino spazio nei settori disciplinari tradizionali, attraverso l’inserimento di un esplicito riferimento ai saperi digitali nelle “declaratorie” formali che definiscono i confini delle discipline.

In via del tutto generale suggeriamo questa formulazione: “Rilevanti per l’attività condotta nel settore risultano altresì gli apporti interdisciplinari di teorie, metodi, risorse e strumenti di ricerca umanisticodigitali”. Ma ovviamente essa può essere adattata, estesa, o riformata affinché meglio si adatti alla specificità e alla tradizione metodologica delle varie aree del dominio umanistico.

Se questo riconoscimento costituisce un primo elemento, certo dirimente, per favorire il consolidarsi delle Digital Humanities nel nostro paese, esso non è l’unico. La ricerca umanistica digitale porta ovviamente alla creazione di prodotti di ricerca digitale. E non ci riferiamo qui alle “comuni” pubblicazioni elettroniche on-line, oramai pienamente considerate al pari dei corrispettivi cartacei, ma ai prodotti intrinsecamente digitali: una edizione scientifica digitale, una ontologia formale o un set di linked data, un archivio testuale o una banca dati, una ricostruzione 3D, un database di rilievi di scavo archeologico, un progetto di geo-referenziazione. Questi prodotti digitali della ricerca sono sempre più comuni anche in ambito umanistico, ed è singolare che essi debbano essere valutati solo attraverso la mediazione di un articolo che li descriva verbalmente. Come AIUCD pensiamo che si possano e si debbano trovare le soluzioni per effettuare una valutazione rigorosa dei prodotti di ricerca digitali (si veda il documento prodotto dalla Modern Language Associations: https://scholarlyeditions.commons.mla.org/2015/09/02/cse-white-paper/; e quello della American Historical Association Guidelines for the Professional Evaluation of Digital Scholarship by Historians, http://www.historians.org/publications-and-directories/perspectives-on-history/september-2). Ma tutto ciò presuppone che a livello istituzionale si accetti di considerare quelli digitali dei prodotti di ricerca a tutti gli effetti. Ci auguriamo che questa proposte, che già in passato sono state positivamente giudicate da molti autorevoli studiosi, abbiano il supporto della comunità scientifica e delle istituzioni. Siamo convinti che il riconoscimento anche in Italia delle Digital Humanities – fondato su una valutazione seria e rigorosa ma competente e informata del lavoro scientifico di chi vi opera – rappresenti una crescita per la nostra intera comunità scientifica, la proietti in una prospettiva di respiro internazionale e soprattutto garantisca ai molti giovani interessati a questo ambito di studi quelle prospettive accademiche e di ricerca che finora sono mancate.

Il Comitato Direttivo

Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale.


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