L’auspicata ratifica da parte anche dell’Italia della Convenzione di Faro è un atto dovuto ed atteso da larga parte degli operatori culturali nazionali, alcuni dei quali l’hanno già adottata come riferimento. Una Convenzione cruciale che, come noto, sin dal 2005 ha innescato una profonda rivisitazione del concetto di Patrimonio Culturale, non solo da intendere come un insieme di oggetti e beni, che siano essi tangibili o intangibili, ma anche come una rete articolata di relazioni fra comunità e patrimonio culturale, che mette in evidenza il legame tra patrimonio, diritti umani, democrazia e che incoraggia a riconoscere che gli oggetti e i luoghi non sono di per sé rilevanti, ma fondamentali per i significati e gli usi che le persone attribuiscono loro e per i valori che rappresentano.
In varie sedi è stato messo in evidenza che il forte impatto innovativo della Convenzione e della sua visione rischia tuttavia di essere notevolmente depotenziato dal ruolo marginale riservato al mondo del Digitale. Forse a causa della sua lunga gestazione, nel riservare al digitale un ruolo meramente strumentale (Art. 14 – Eredità culturale e società dell’informazione), la Convenzione rischia di non tenere in alcun conto l’evoluzione che la rivoluzione digitale ha innescato ormai da oltre 15 anni e rischia quindi di risultare incoerente con la realtà generata dal processo di Trasformazione Digitale (vedi la Strategia per il mercato unico digitale in Europa e il Documento INVESTING IN THE FUTURE DIGITAL TRANSFORMATION 2021-2027) che è diventato nel frattempo una priorità assoluta nelle politiche di sviluppo europee e mondiali. Oggi, la digitalizzazione e il digitale devono essere riconosciuti nella loro realtà trans-identitaria e multi-identitaria di nuova entità culturali che, come i patrimoni tangibili e intangibili considerati nella Convenzione, non solo costituiscono “strumenti per”, ma sono anche a loro volta strumenti qualificati di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione del Patrimonio Culturale (Convenzione, Art. 5 – Leggi e politiche sull’eredità culturale, comma b).
Principale riferimento delle nuove prospettive sul significato assegnato al Digital Cultural Heritage sono le Conclusioni dell’UE del 21 maggio 2014 (Conclusioni del Consiglio del 21 maggio 2014 relative al patrimonio culturale come risorsa strategica per un’Europa sostenibile (GU C 183 del 14.6.2014)) , successivamente ripreso nella Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 (Decisione (UE) 2017/864 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, relativa a un Anno europeo del patrimonio culturale (2018) ( GU L 131, 20 maggio 2017)) con cui peraltro è stato nominato il 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale, che inquadrano l’evoluzione del digitale, ridefinendo il concetto di Patrimonio Culturale e conferendo pari diritti di cittadinanza anche a quello di origine digitale. Orientamenti, che a valle della ratifica della Convenzione sarà necessario tenerne conto per evitare di mantenere il contrastante paradosso rispetto non solo agli scenari contemporanei del digitale, ma soprattutto in relazione alle ulteriori evoluzioni per le quali urge essere preparati per gestire le complesse sfide che certamente proporranno, con riferimento per esempio alle metodologie della “data science” applicate a studio, ricerca e formazione su “data humanities”.
IN ITALIA
In Italia, la ricerca, la formazione e l’educazione su sistemi innovativi di riconoscimento digitale e la sperimentazione nelle Università, negli Enti di Ricerca, nella Comunità scientifica aggregata nella Scuola a Rete per la Formazione nel Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities – DiCultHer e nella Infrastruttura di Ricerca Europea DARIAH- Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities, mostrano quali siano i benefici che l’applicazione dell’approccio metodologico della data science può portare agli studi su data humanities. La possibilità di affrontare gli studi umanistici approcciando le metodologie del data science è di fatto oggi una rivoluzione già in atto negli studi di settore. Il digitale e la digitalizzazione non sono più soltanto strumenti e mezzi di mediazione per la fruizione a vario scopo di riproduzioni culturali: sono, oggi, processi che devono essere sempre intesi nella loro evoluzione verso la dimensione di conoscenza storica dell’Era Digitale contemporanea, dai quali germinano metodologie innovative di studio, ricerca, produzione di nuove dimensioni culturali, da intendere quali paradigmi della conoscenza identificativi dei processi di ricerca, studio e formazione delle nascenti Digital Science, Humanities, Technology, Engineering, Arts and Mathematics (Digital SHTEAM).
La sfida da affrontare, accanto ad una migliore organizzazione della Ricerca nel nostro Paese nel settore delle Digital Humanities e del Digital Cultural Heritage –manca in Italia un Ente pubblico di ricerca di settore (Un EPR a carattere non strumentale con autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile ai sensi dell’articolo 33 della Costituzione, dell’articolo 2 del D.Lgs. 31 dicembre 2009, n. 213, e dell’art. 3 del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 218, nel rispetto della Carta Europea dei Ricercatori adottata dall’Istituto nel dicembre 2005. (sul modello dell’INFN)) -, consiste nel costruire e consolidare una cultura digitale omogenea e condivisa, che abbia quale presupposto la conoscenza approfondita delle problematiche legate alla conservazione e valorizzazione dei dati digitali.
Una sfida che parte e tiene conto dei risultati della nostra Comunità scientifica le cui ricerche in questi domini sono ormai una realtà consolidata e condotta da centinaia di ricercatori provenienti dalle diverse aree del nostro sistema della ricerca la cui eccellenza e preparazione è riconosciuta a livello internazionale, è documentata scientificamente, bibliograficamente e istituzionalmente.
Anche se in Italia questi domini, ormai riconosciuti ovunque come strategici per lo sviluppo e l’evoluzione costruttiva della nostra società, sono ancora considerati “ibridazioni” non collocabili né associabili ad alcuna Area Scientifica o Settore Scientifico Disciplinare, creando difficoltà nella valutazione accademica della ricerca nelle Digital Humanities e di quella condotta con metodologie digitali in tutte le aree relative al Cultural Heritage, e di conseguenza nella loro valorizzazione accademica e di carriera per tutti quegli studiosi delle aree biblioteconomiche, archivistiche, archeologiche, architettoniche, urbanistiche, artistiche, creative, letterarie, storiche, geografiche, antropologiche e demo-etnoantropologiche, solo per citarne alcune, che da anni vi si dedicano con passione, professionalità e risultati di eccellenza internazionale, come dimostrano corsi di laurea e insegnamenti e progetti di ricerca ormai da anni attivi in numerosi atenei italiani.
L’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale (AIUCD), i gruppi accademici attivi ormani nella maggior pare delle nostre Università , le iniziative e l’importante presidio scientifico degli Istituti Centrali del MIBAC, le Comunità di studiosi presenti nella maggior parte delle Istituzioni culturali aderenti all’Associazione Istituti di Cultura Italiani (AICI), la Scuola a Rete DiCultHer, le decine di progetti di ricerca internazionali nei quali l’Italia è stata ed è protagonista con le sue eccellenze sono tutte realtà che impongono come urgente la necessità di riconoscere alla ricerca nelle Digital Humanities e nel Digital Cultural Heritage pieno e indiscusso sostegno.
Questioni queste che DiCultHer, accanto alla Consultazione Pubblica in atto (https://form.jotformeu.com/81546663684367), sta affrontando proponendo attività formative, educative e di ricerca, agendo con gli strumenti e le strategie innovative delle Digital Humanities per dotare, in particolare, le nuove generazione della conoscenza non solo delle nuove dimensioni del Patrimonio culturale, ma anche del più vasto universo del nuovo Digital Cultural Heritage. L’obiettivo è quello di realizzare l’integrazione fra saperi umanistici tradizionali e conoscenze di metodi e tecniche computazionali nella strutturazione della nuova Cultura Digitale, attraverso modelli che puntino a creare conoscenze e competenze consapevoli trasversali, abilitate a partecipare attivamente ai processi di innovazione digitale e per la realizzazione di quel digital knowledge design system applicato all’educazione al patrimonio culturale che mette al centro la ‘creatività’ dei giovani per affrontare, mediante l’uso consapevole del digitale e con approcci innovativi, la conoscenza, l’accesso partecipato, la gestione e la valorizzazione del Digital Cultural Heritage. Obiettivi questi in linea con le “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”, del MIUR (febbraio 2018), il cui obiettivo è: “Garantire a tutte le studentesse e a tutti gli studenti le competenze chiave per affrontare i cambiamenti e le sfide del loro presente, per proiettarsi al meglio nel futuro, per diventare cittadine e cittadini attivi e consapevoli, capaci di condividere valori comuni e di confrontarsi positivamente con l’altro”, nonché con il DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 60 – Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività.
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